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Il fosso delle anatre e la sua geografia

Il Fosso delle Anatre, attualmente facente parte del Consorzio di Bonifica Sud Ovest di Mantova, è un canale di scolo e irriguo che scorre in parte nel Comune di Curtatone e in parte nel Comune di Mantova come appare nelle rispettive attuali planimetrie comunali.

Il suo inizio si individua nel Comune di Curtatone tra S. Silvestro e Montanara in una zona denominata Il Boschetto. Il tratto iniziale del percorso del Fosso segna una linea retta verso nord est e solo dopo aver superato il confine Curtatone-Mantova disegna un angolo di 90° verso sud est per un breve tratto; poi mostra nuovamente un cambio di direzione sempre con un angolo di 90° ancora verso nord est; infine piega sempre con un angolo di 90° e va ad immettersi nel canale Paiolo Alto nel territorio di Mantova.

Sulla cartografia, in maniera visibilissima, il suo tracciato appare costituito da quattro segmenti paralleli due a due e perpendicolari fra loro. Nel territorio del Comune di Curtatone il corso d'acqua è in parte visibile e in parte non visibile. In un tratto è stato tombinato ed è quindi impossibile seguirne completamente il percorso camminando sulla riva, segno palese di uno scorrere d'acqua che la forte antropizzazione del territorio tende a nascondere, fino a perderne la memoria.

E' ben evidente nella zona di Curtatone che un tratto del fosso marca il confine tra due Corti, la Cà Cruda e la Pillegra, assolvendo in tal modo a quella che da tempi remoti è stata la funzione storica dei fossi, soprattutto nei terreni agricoli. La parola "fosso" deriva dalla parola antica "fossa" che risale al XIII secolo e che significa "cavità naturale o artificiale destinata allo scolo e alla distribuzione delle acque". Successivamente, per espansione semantica dovuta all'uso specifico che il fosso andava ad assolvere col passare del tempo nelle economie dei terreni agricoli, la parola "fosso" prendeva anche il significato di "limes", confine fra due o più proprietà. Il fosso veniva "curato" in modo ricorrente, e sovente accompagnato da un sentiero che ne seguiva l'andamento per tutto il suo sviluppo.

Oggi nel territorio limitrofo alla città di Mantova, conosciuta da sempre come la città dei laghi, non è facile ritrovare nella realtà idrogeografica le tracce di quel connubio di "terra e acqua" che aveva caratterizzato in maniera specifica tutta la cultura della popolazione che vi abitava. Rivolgere l'attenzione al Fosso delle Anatre è un minimo contributo allo studio sull'idrografia del territorio attorno a Mantova: parlare delle acque di Mantova vuol dire parlare in primo luogo dei suoi laghi, del Paiolo, di Fossaviva detta anche Fosso dei Gamberi, del Mincio-Fissero e altre "acque importanti" che hanno intrecciato la loro storia con la "storia importante" della città. In un ambiente come il nostro, dove il confine tra natura e uomo più che altrove si intreccia, si compenetra e si sposta continuamente, prendere in considerazione un fosso lungo pochi chilometri e di incerta datazione risulta comunque un fatto interessante e utile per la conoscenza di quel binomio terra-acqua che ha caratterizzato il territorio mantovano. In tale contesto antropo-bio-geografico sarebbe scorretto affermare "tout court" la primarietà dei tre laghi e di alcuni corsi d'acqua significativi di fronte a decine e decine di piccoli fossi, stagni e canali che di fatto costituiscono il reticolo diffuso, capillare, potremmo dire ubiquitario delle acque che scorrono e stagnano sulle terre mantovane. E non è un caso che la ricerca di dati e informazioni sul Fosso delle Anatre si inserisca in un risveglio di indagini similari, che diventano apprezzabili non solo sul piano dell'arricchimento della conoscenza storico-scientifica, ma anche nella prospettiva di far nascere e diffondere una sensibilità critica verso quelle forme di sviluppo dell'urbanizzazione che non sempre sono sostenute da adeguati principi di salvaguardia verso la natura in sé o quella natura che porta dentro i segni della nostra memoria di uomini.

Questo lavoro, al di là di ogni valutazione sul contenuto, potrebbe avere almeno il merito di destare una maggior attenzione intorno al destino di tutta quella zona che nel Comune di Curtatone, proprio attorno al Fosso delle Anatre, sta avendo un notevole sviluppo urbanistico. Distanti da un'ottica che intende demonizzare l'antropizzazione dell'ambiente naturale, si vuole semplicemente affermare che le case, le strade e il cemento dovrebbero trovare una forma di convivenza dignitosa con i fossi: non che la vita dell'uno sia la distruzione dell'altro secondo un automatismo immodificabile. Il Fosso delle Anatre nel suo percorso iniziale delimita il confine del Centro Sportivo Boschetto; poi, dopo un tratto coperto all'interno di una zona a forte urbanizzazione, ritorna ad emergere per pochi metri come un corpo estraneo e disarmonico nel contesto, pronto ad essere eliminato. Sfilando successivamente tra campi rigogliosi, funge da confine tra due aziende agricole come si era detto all'inizio, poi continua sempre in una campagna ricca fino ad entrare nel Canale Paiolo Alto nel Comune di Mantova. Alternativamente abbondante e povero d'acqua in rapporto a esigenze irrigue, piogge, infiltrazioni o siccità perduranti, presenta una lunghezza di 3180 metri.

Per quanto riguarda la profondità e l'ampiezza è necessario suddividerlo in due tronconi, quello che va dalla sorgente fino al punto in cui segna il confine tra la Cà Cruda e la Pellegra e il secondo che continua da quel punto fino al Canale Paiolo Alto dove le sue acque confluiscono. Nel primo tratto la profondità è di 1,50 metri e la larghezza 4-5 metri, mentre nel secondo tratto i valori aumentano marcatamente: la profondità è di 2 metri e la larghezza di 7-8 metri. Complessivamente, date le dimensioni, il Fosso delle Anatre è stato considerato sempre un fosso di una certa importanza tanto da apparire tracciato su cartografia del secolo scorso. Anche se in tutta la documentazione cartografica rintracciata dall'800 in avanti il Fosso delle Anatre appare segnato nel medesimo percorso attuale, il primo tratto nel Comune di Curtatone così come appare oggi è il risultato di interventi di scavo assai recenti che risalgono agli anni 1970. La ragione che giustifica l'immodificabilità cartografica del tracciato sta nel fatto che, anche prima dell'intervento dell'uomo, quel primo percorso risultava sostanzialmente definito da un insieme di piccoli fossi di scolo che avevano la medesima direzione, struttura e funzione di quello realizzato negli anni 70. Quindi pure la prima parte veniva di fatto considerata come facente parte integrante della seconda che, propriamente, poteva fregiarsi del vero e proprio nome di Fosso delle Anatre. La necessità dell'intervento era determinata dal fatto che quella parte alquanto segmentata, proprio per questo non facilmente governabile, tendeva ad essere sottoposta a forme di manutenzione non efficienti e alla lunga inefficaci. Un intervento quindi che ha recuperato un fosso non adeguatamente "curato". La seconda parte, per una lunghezza di due km, è rimasta invece del tutto inalterata nel corso del tempo e ancora adesso è collegata con una serie di fossi più piccoli per ampiezza e profondità come quello che circonda la corte rurale "Rara Avis" dove si allevano gli Anatidi.

Le anatre ancora oggi trovano un habitat particolarmente favorevole in quel fosso, meglio sarebbe dire sistema di fossi, poiché la campagna immediatamente attigua a ridosso del Fosso delle Anatre si configura quasi come un'oasi di verde stretta da un insediamento urbanistico invadente. La zona che contorna quel tratto che va dalla Corte Pillegra fino alla Corte di proprietà Norsa è una zona agricola priva di significative costruzioni e insediamenti umani in quanto è adibita a campo per le esercitazioni militari di una caserma attigua. Sull'arginotto che accompagna il fosso e lo separa dai campi circostanti coltivati a prato emergono macchie di alberi rigogliosi, verdi e ombreggianti tra cespugli e erbe alte che crescono liberamente: immagini naturali di vegetazione spontanea piuttosto rara in tutta la campagna che si stende oltre quella fascia militare di cui si diceva; una vegetazione che, lasciata completamente libera di espandersi secondo le proprie leggi, occupa, trasforma e si riappropria di quegli spazi e di quei manufatti trascurati in cui permangono le tracce dei segni di una presenza umana. Buttando l'occhio là dove il fosso e i fossi collegati sono provvisti d'acqua, si resta impressionati nel veder l'abbondanza di quell'erba verde, compatta e densa che nasconde il fondo da riva a riva: la "ranina", l'oro verde delle anatre. In quell'ambiente, accentuatamente favorevole alla vita delle anatre e di altri animali, quando la pioggia ristagna il tempo giusto in qualche pozza d'acqua sul sentiero, si ha l'opportunità di notare anche su quei piccolissimi bacini d'acqua la formazione della medesima copertura vegetale.


Il fosso delle anatre e la sua storia

"Recuperare" il Fosso delle Anatre, nel senso di conoscerne e riconoscerne la storia, ha un significato non meramente documentaristico e neppure nasce da curiosità per addetti ai lavori: nasce dal semplice desiderio di ricostruire a livello di memoria e, per quanto è possibile, a livello di realtà effettiva quella "cultura" che attorno ad esso circolava e che ancora oggi, con adeguati accorgimenti di tutela, potrebbe convivere con la modernità, come per esempio certe forme di vita vegetale e animale. Ancora adesso nelle nostre zone si fa largo uso del proverbio: "E' meglio stare dalla parte del frumentone", eppure se si chiede in giro anche a gente acculturata il significato di tale modo di dire non si arriva a una corretta spiegazione, nessuno considera che, là dove finiva il campo coltivato su terreno solido, cominciava l'acqua con tutti i suoi pericoli: quindi era opportuno camminare dove era coltivato il granoturco. L'acqua e la terra stavano nel rapporto di quadro e cornice o, se si vuole usare una immagine di gestalt psicologica, di figura e sfondo, in una relazione però dove l'uno poteva prendere il posto dell'altro a seconda del punto di vista come nella figura ambigua di Rubin.

Tale proverbio non poteva avere la sorgente che in una terra a metà strada tra il solido e il liquido, un territorio dove i fossi erano una costante che faceva parte integrante del vivere della gente e costituivano un serio pericolo nel caso non si assegnasse loro la dovuta attenzione. Nel contempo, tuttavia, detti fossi erano anche fonte di vita e per certi versi addirittura di ricchezza; non dimentichiamo alcuni nomi di corsi d'acqua del Mantovano come:

  • il canale Fissero che nella lingua teutonica vuol dire fiume di pesci,
  • Fossaviva che si chiamava anche Fosso dei Gamberi,
  • Fosso delle Anatre,

entrambi a poca distanza l'uno dall'altro all'interno della Fossa di Curtatone.

Non sempre è facile rintracciare le testimonianze precise sull'origine e la data della zoo-toponomastica, ma la ragione del nome resta comunque evidente. Nel nostro caso la ricerca ha preso avvio soprattutto dalla necessità di individuare quella che potrebbe essere definita l'età del Fosso delle Anatre e le sue eventuali trasformazioni di percorso, di funzione e quindi anche di denominazione propria. A questo scopo sono stati recuperati dei materiali cartografici presso il Consorzio di Bonifica Sud Ovest di Mantova che, dopo la sua costituzione nei primi decenni del 900, definisce nella propria cartografia il nostro fosso come Fosso delle Anatre. Su quei documenti il percorso del fosso è identico a quello attuale. Prima di essere inglobato nel sistema della bonifica, e quindi di diventare parte di un bene dello Stato, il fosso era privato. Il Fosso delle Anatre compare in un percorso identico ma privo di denominazione su documenti cartografici dell'Ufficio Catasto Terreni di Mantova del 1893. Con lo stesso percorso e senza denominazione appare anche nella cartografia IGM che risale al 1885.

Che non sia un fosso di recente realizzazione è da dedurre dal nome, in quanto le denominazioni dei canali di questi ultimi decenni derivano da quello delle aziende o delle corti che attraversavano o da altro, ma non da nomi di animali. Da tale indagine comunque si è potuto stabilire con certezza la datazione e il nome del Fosso delle Anatre. Non è stato possibile nella ricerca spingersi più indietro nel tempo, in quanto non si è trovata per ora una cartografia o una documentazione di altro tipo che ne attestasse il tracciato. Osservando tuttavia l'andamento del fosso, destano interesse il parallelismo e gli incontri ortogonali. "Il criterio che permette di attribuire all'età romana le tracce di divisioni agrarie è l'assoluta regolarità dell'allineamento, salvo cioè deviazioni locali, e l'ortogonalità degli incroci…." (F. Castagnoli, Le ricerche sui resti della centuriazione, Roma 1958).

Si può ipotizzare quindi che il tracciato del Fosso delle Anatre o alcune sue parti siano superstiti tracce della centuriazione, opera importante che il tempo, nel suo lavoro di distruzione, ha ormai relegato nell'oblio. Manca una ricerca specifica, scientificamente condotta, della centuriazione di cui invece abbiamo echi letterari (Virgilio fu deluso d'essere stato privato del suo campo). Per trovare una conferma all'ipotesi in precedenza esposta, che due tratti del nostro fosso corrispondano al tracciato della centuriazione, si può ricorrere alla ricostruzione dei cardini e dei decumani presentata dagli studi di E. Mutti Ghisi. Seguendo la sua descrizione del cardine CKXIV in un punto si dice "…trova l'ultimo breve allineamento presso la località Pillegra." Sempre negli stessi studi seguendo la descrizione del decumano DDIV si afferma: "…continua con sentieri e fossati tutti in allineamento che ci portano fino al Mincio". Sottolineare l'appartenenza di due tratti del fosso al reticolo della centuriazione fa supporre che almeno una parte del fosso risalga all'età romana con la stessa attuale funzione di scolo. Non è azzardato immaginare questa funzione tenendo presente che l'obiettivo della centuriazione era anche la bonifica del terreno. Continua Mutti Ghisi: "….soprattutto in un territorio come il nostro percorso da numerosi corsi d'acqua, i decumani e i cardini dovevano assumere una direzione piuttosto che un'altra….". E più avanti: "….L'inclinazione dei decumani segue la pendenza naturale del terreno e favorisce lo scorrimento delle acque impedendo che esse si fermino a formare paludi….". Per quanto riguarda invece l'attribuzione della denominazione, in mancanza di documentazioni informative, si sono fatte due ipotesi per certi versi correlate, confortate anche da testimonianze orali di abitanti del posto e di funzionari pubblici addetti al Consorzio di Bonifica aventi un'età, per così dire, avanzata.

La prima consiste nel sostenere che i contadini delle terre limitrofe andavano a rifornirsi per le proprie anatre in quel fosso della lenticchia d'acqua detta "ranina", di cui quel corso d'acqua era particolarmente abbondante, o comunque più ricco di altri fossi vicini, oppure le anatre stesse allevate dai contadini frequentavano liberamente tale fosso. La seconda ipotesi consiste nell'affermare che le anatre selvatiche nelle stagioni di passo, proprio per la particolare "ospitalità" di tale corso d'acqua, si fermavano con estrema facilità. Considerando che tutto il territorio aveva delle caratteristiche alquanto adatte per la vita degli animali palustri, ma soltanto quel fosso fra molti altri veniva chiamato in tal modo dalla gente del posto (non bisogna dimenticare che il Fosso delle Anatre era privato in origine), e considerando che nella cultura contadina l'origine dei nomi è costantemente legata alle vicende e alle ragioni del vivere immersi nella natura, dalla quale provengono il sostentamento e la sopravvivenza nel senso antropologico del termine, viene spontaneo concludere che il Fosso delle Anatre fosse davvero uno splendido …"Fosso per le Anatre". Quel breve corso d'acqua si collocava dentro la cornice di un territorio ricchissimo di terra-acqua, un territorio che da molti secoli, per le caratteristiche particolari con cui aveva combinato quei due elementi, era piuttosto noto, come testimoniano i documenti cartografici. Era chiamato Serraglio (*all.4) ed era un quadrilatero di terra "serrato" tra due fiumi, il Mincio e il Po, i laghi di Mantova e la Fossa di Curtatone percorso all'interno da mille rivoli e pozze d'acqua: un quadrilatero che si restringeva ad angolo acuto nel punto di confluenza fra il Po e il Mincio e che era stato pensato per scopi militari.

La necessità di difendere da invasioni nemiche non solo il territorio urbano, già validamente protetto dalla cintura dei laghi, ma anche una parte considerevole e importante della campagna dalla quale gli abitanti ricavavano i propri mezzi di vita (intesi anche come merce di scambio con la città), portò i mantovani a creare una più vasta cintura difensiva di emergenza.Tale progetto difensivo sfruttava alcune depressioni del terreno che potevano essere facilmente colmate da acque fattevi appositamente defluire nei momenti di pericolo pubblico con opportune deviazioni dei fiumi. Con il Serraglio era possibile allagare attraverso la valle di Buscoldo una vasta zona compresa fra Mincio, Oglio e Po che, estendendosi per chilometri, ostacolava decisamente o addirittura impediva l'avanzare di eserciti ostili. Il terreno che scolava le sue acque nel Fosso delle Anatre era alto soprattutto in relazione agli avvallamenti di cui si diceva prima. Data questa configurazione del terreno, possiamo pensare quindi a "isole fertili e coltivate" che dovevano fare i conti con le depressioni circostanti nei confronti delle quali si creava un continuum di flora e di fauna.


Il fosso delle anatre e la sua avifauna

Le depressioni caratteristiche della zona circostante il Fosso delle Anatre erano sicuramente caratterizzate da piante e animali "tipici", ma anche sulle "isole fertili e coltivate" delle zone più alte, di cui si diceva nel precedente paragrafo, gli uccelli palustri potevano trovare tratti, zone, angoli ospitali quali un fosso ricco di acqua, pesci e materiali vegetali. Già nel secolo scorso, infatti, riconosciuti studiosi della flora e della fauna avevano attribuito al territorio attorno a Mantova una sua specifica singolarità. E. Paglia (Saggio di studi naturali sul territorio mantovano, 1879) dice: "…. Per la varietà delle condizioni naturali del suolo e del cielo, è notevole come il Mantovano possa mostrare, sia di stazione che di passaggio, specie molto importanti per la Storia Naturale e per la Geografia Ecologica della regione continentale in cui è posto ….".

Fra queste "specie molto importanti" egli annovera la famiglia dei "lamellirostri", corrispondente all'attuale Anatidi, individuandone con precisione le specie. Dalla descrizione precisa del Paglia rimane assai agevole immaginare che a quei tempi, mentre il cielo, in alcuni periodi dell'anno, era solcato con frequenza dal volare in gruppo di alcuni di questi uccelli di passo, le acque ospitali erano animate dalla loro massiccia vitale presenza. Procedendo a ritroso nella Storia, si nota come durante tutta la dominazione dei Gonzaga i riferimenti alle cacce degli uccelli palustri siano abbondanti e ben documentati, a testimonianza non solo della "nobiltà" di tale particolare attività venatoria accanto all'altra più nota per i grossi animali del bosco, ma soprattutto a dimostrazione di quanto fosse copiosa e varia la presenza di quegli uccelli nella zona dei laghi e dintorni. Nella Sala dei Venti in Palazzo del Te, residenza dei Gonzaga, c'è un medaglione attribuito a Giulio Romano che rappresenta la caccia a "restello" delle anatre a dimostrazione di quanto fosse praticato e apprezzato questo tipo di caccia, data anche l'abbondanza di uccelli palustri sui laghi e in tutte le zone limitrofe, assai simili per caratteristiche ambientali (*all.5).

Ancora agli inizi del Settecento il Governo dei Gonzaga prevedeva "l'Uffizio delle cacce" che aveva non solo il compito di regolamentare con ordinamenti precisissimi ogni attività venatoria in tutti i suoi aspetti, ma anche di controllarne l'inflessibile applicazione tramite schiere di funzionari che avevano il grado militare altisonante di "Capitani delle cacce". Non fa effetto, in tale contesto così formalizzato e ufficiale riguardante le "cacce", che S. Gionta autore de "Il Fioretto delle cronache di Mantova, 1844" scriva: "….ai 13 del detto novembre (1711) lo stesso Imperatore Carlo VI entrò (in Mantova) venendo da Milano…Quest'ingresso fu in giorno di venerdì. La mattina del sabato si divertì Egli alla caccia dei volatili acquatici sul lago….". Le paludi e i canneti, i laghi e le rive, gli isolotti e i labirintici canali, le terre umide digradanti e i fossi costituivano da tempo immemorabile tranquilli e prediletti asili agli uccelli sui quali la Corte dei Gonzaga esercitava, in un rituale simbolico e cavalleresco, la nobilissima occupazione della caccia. F. Zuccaro nel Seicento, in uno scritto dal titolo "Passaggio per l'Italia" diceva, riferendosi al duca Vincenzo I Gonzaga e alla sua passione per la caccia: "…Sua Altezza spesso faceva nel lago a tirar con l'archibugio lungo alle anatre et alle folaghe et ad altri uccelli selvatici, che ve ne erano in alto numero che coprivano tal'hora il lago….". G. Baretti, scrittore del Settecento, descriveva così la caccia al "rastrello" detto anche "restello": "… Noi abbiamo una specie di caccia comunissima nel Mantovano…particolare all'Italia…la caccia al volo sui laghi. Nella stagione propria… si fa preparare un centinaio di battelletti… Ciascuno di questi battelletti condotto dal rematore, contiene un cacciatore… con un certo numero di schioppi carichi…I battelletti disposti in linea si muovono tutti ad un tempo da un lato del lago verso l'altro. Gli uccelli spaventati s'innalzano…volano verso la sponda donde partono i battelli: i cacciatori al passaggio…ne uccidono grandissimo numero. Siccome questa caccia è dilettevolissima, così accade sovente che le signore vogliono partecipare a questo piacere ed esser del numero de' cacciatori….".

E ancora nell'Ottocento non fatichiamo a trovare testimonianze sullo stesso argomento: L. Borgani ("La caccia a Mantova- Memorie", 1884), nel suo agile e documentato saggio sull'arte di esercitare la caccia a Mantova scrive in maniera lapidaria e incisiva nella prefazione: "…..Poche località radunano in limitato spazio tanta varietà di selvaggina quanta ne conta Mantova ne' suoi dintorni: laghi, valli ed estese campagne offrono al dilettante cacciatore l'opportunità di variare il genere di caccia, a seconda della località che elegge, subordinandosi soltanto alla stagione, temperatura e variabile livello delle acque.

Questa singolarità ha influito fra noi in modo che in ogni classe di cittadini e terrieri si ebbero sempre espertissimi e instancabili cacciatori….". E più avanti, consegnandoci un'immagine immediata nella sua sinteticità: "Quindi schioppi nel Settecento, archibugi nel Seicento, archi e balestre nel Cinquecento….". E continua il Borgani riferendosi all'Ottocento: "…. Il primo rastrello dell'annata offresi l'antivigilia di Natale e non è gran tempo che ci partecipava gran numero di cittadini tanto autorevoli quanto profani alla caccia, basti dire che gli inviti s'estendevano persino alle autorità ecclesiastiche che talvolta v'intervenivano malgrado il divieto dei sacri canoni ……..". Come si capisce dalle testimonianze di vario genere precedentemente riferite, le cacce alle anatre erano socialmente prestigiose, occasione o addirittura esse stesse all'origine di feste e spettacoli corali. La loro cornice di riferimento ambientale, secondo la documentazione citata, sembra essere costituita preminentemente dai laghi, quella sociale appare riferita alle classi o fasce sociali privilegiate. Il Fosso delle Anatre e la storia che si è cercato di costruire intorno alla sua origine e funzione, all'interno di un territorio che aveva caratteri molto simili, ci fanno capire che anche attorno ad esso, come sui laghi, capitavano le stesse cose, solo che erano meno appariscenti tanto da non risuonare dentro quelle parole o quelle pitture che a loro volta rimangono dentro la Storia. Ma anche quella svoltasi nei dintorni del Fosso delle Anatre è storia, diversa da quella dei laghi in senso sociale, identica dal punto di vista dell'ambiente, della natura, del rapporto flora-fauna.

   
 
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